scheda a cura di Marco Bruni
Karl Löwith, L’individuo nel ruolo del co-uomo, tr. it. di A. Cera, Guida, Napoli 2007
Indice dell'opera:
Introduzione
Nota alla traduzione
L’individuo nel ruolo del co-uomo
Prefazione alla ristampa
Introduzione
Capitolo I
I principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach
§ 1. Il concetto generale di “filosofia” in Feuerbach
§ 2. Il doppio principio della sua filosofia
a) Il principio del “sensualismo”
b) Il principio dell’altruismo”
§ 3. Le conseguenze gnoseologiche questo principio
Capitolo II
Analisi strutturale dell’essere-l’uno-con
con il “mondo” ed il “mondo-ambiente”
Parte I
Il rapporto del mondo-del-con
con il “mondo” ed il “mondo-ambiente”
§ 1. I co-uomini incontrano qualcuno anzitutto nel mondo come mondo-del-con
§ 2. Il significato umano di “mondo” e “vita”
§ 3. I quattro significati fondamentali di “vita” e la loro connessione
§ 4. L’indicazione che “mondo” e “vita” significano mondo-del-con trova una conferma in Dilthey
§ 5. La manifestazione preliminare (Vorschein) del mondo-del-con nel mondo-ambiente
a)
come mondo delle opere (Werkwelt)
b) come natura
§ 6. Il motivo della “trasferibilità” dei caratteri del mondo esterno naturale al mondo interiore umano e viceversa.
§ 7. Il significato retroattivo del mondo-del-con per la “realtà” del mondo-ambiente
§ 8. L’autonomia della natura a differenza di quella dell’uomo
Parte II
Le strutture immanenti del mondo-del-con
Sezione I. L’essere-l’uno-con-l’altro come tale
§ 9. La struttura formale fondamentale entro cui si fa incontro il mondo-del-con
§ 10. Analisi del mondo-del-con in quanto degli “altri”
§ 11. Sguardo retrospettivo critico alla tesi di Feuerbach su “io” e “tu”
§ 12. Il concetto di “rapporto” a differenza di: “connessione”, “relazione” [relazione (Relation)] e “correlazione”
§ 13. Qualcosa e qualcuno
a)
il cosiddetto rapporto di qualcuno con qualcosa
b)
il cosiddetto rapporto di qualcosa con qualcosa
c) l’autentico rapporto di qualcuno con un altro
§ 14. L’analisi di Hegel del “qualcosa”
§ 15. “Incontro” e “corrispondenza” nella loro determinazione a partire dal rapporto
§ 16. Qualcosa e qualcuno nel loro esserci-in-vista-di
§ 17 L’essere-l’uno-per-l’altro libero da un fine
§ 18 La problematica del cosiddetto egoismo ed altruismo
§ 19 L’ambiguità di principio di ogni condotta propria in rapporto ad un altro
§ 20 La riflessione dell’ambiguità
§ 21 L’ambiguità di un “rilascio” dell’altro
§ 22 Il possibile rendersi autonomo del rapporto
§ 23 Analisi sintetica della rappresentazione di un rapporto resosi autonomo in Così è (se vi pare) di Pirandello
Sezione II. L’essere-l’uno-con-l’altro come parlare-l’uno-con-l’altro
§ 24. Portare ad espressione se stessi e giungere ad espressione di sé
§ 25. Il parlante non è un “individuo”, ma una “persona”
§ 26. Qualcuno è parlante, nel momento in cui si rivolge ad un altro in funzione di una replica
§ 27. I momenti strutturali del parlare-l’uno-con-l’altro
§ 28. Il senso formale della “responsabilità”
§ 29. Parlare-l’uno-con-l’altro e ascoltarsi-l’un-l’altro
§ 30. La “determinatezza” del discorso originario si costituisce nella libera “corrispondenza”
§ 31. L’assolutizzazione del discusso nel discorso scritto
§ 32. La problematica dell’espressività come tale
Capitolo III
L’uno e l’altro nella loro reciproca autonomia
Parte I
Esposizione critica delle attuali impostazioni del problema
§ 33. “Tu stesso” a differenza del “tu” (di un io) e dell’“altro io”
§ 34. Il concetto dell’altro come “io altrui” di Scheler
§ 35. Il concetto della “realtà” della vita spirituale come una re-lazione io-tu di F. Ebner
§ 36. Il concetto del “tu” come autentico “soggetto” della relazione-io-tu di Gogarten
§ 37. Il duplice concetto empirico dell’ “autonomia” dell’altra persona di Dilthey
a) come resistenza “estranea” contro la volontà
propria
b) come “pari” fine in se stesso, riconosciuto nel rispetto
spontaneo
Parte II
La fondazione dell’“autonomia” dell’uomo di Kant
§ 38. La fondazione risulta generalmente dalla costituzione dell’uomo in lui stesso e contemporaneamente dal suo rapporto con l’altro
Sezione I. L’uomo è autonomo come “persona” nella misura in cui è indipendente dalla sua propria “natura”
§ 39. La costituzione ontologica sdoppiata dell’uomo in generale
a) l’uomo è determinato come persona (fine in se stesso) e contemporaneamente come cosa (mezzo per un fine)
b)
la libertà come “indipendenza” dalla disposizione (naturale) nella libertà verso sé come
personalità (morale)
c) il rispetto come determinazione “restrittiva” dell’inclinazione naturale
d)
l’uomo come “creatura razionale”
e)
la “cosa-in-sé” come “homo noumenon” dell’ “homo phaenomenon”
Sezione II. Il rapporto autonomo di ognuno con se stesso, come fine in se stesso, si dimostra nel rapporto autonomo di qualcuno con l’altro
§ 40. L’autonomia di ognuno realizza il suo senso autentico prima di tutto nel rapporto dell’essere-l’uno-con-l’altro
a) il principio (Grundsatz) della ragion pratica come criterio (Prinzip) della possibile universalizzazione dell’uno con l’altro
b)
il rispetto dell’altro come fine in se stesso si compie attraverso la limitazione del proprio
amore di sé
c)
il doppio principio di virtù della propria “perfezione”, ma altrui
“felicità”
d) l’interpretazione del rapporto sessuale
e) l’ideale dell’amicizia come conciliazione di “amore” e “rispetto”
§ 41. Le caratteristiche originarie della critica di Hegel alla morale kantiana
Capitolo IV
“Io stesso” nella mia “unicità”
§ 42. I rapporti responsabili rivelano qualcuno solo “relazionalmente”, ma nascondono com’è “in sé”
§ 43. La possibilità di un particolare rapporto con se stessi costituisce “individualità”
§ 44. Il concetto di Kierkegaard del “singolo”
§ 45. Il concetto dell’“unico” di Stirner
Appendici
265 Appendice I.
Premessa alla prima edizione
269 Appendice II.
Presentazione di Heidegger alla commissione esaminatrice
__________
L’individuo nel ruolo del co-uomo costituisce lo scritto di abilitazione all’insegnamento di Karl Löwith, presentato alla facoltà di Filosofia di Marburgo il 15
dicembre 1927, con relatore il maestro Martin Heidegger, e pubblicato nell’estate dell’anno successivo (1928) con il titolo: Das Individuum in der Rolle des Mitmenschen. Ein Beitrag zur
anthropologischen Grundlegung der ethischen Probleme[1]. La tesi fondamentale dell’opera può essere sintetizzata parafrasandone il titolo, dicendo che l’individuo è (si dà)
nel ruolo del co-uomo, nel senso che:
l’individuo umano è un individuo nel modo d’essere della “persona” (persona), ossia esiste essenzialmente all’interno di determinati “ruoli” relativi al mondo-del-con (Mitwelt) (per esempio come figlio, cioè dei suoi genitori; come marito, cioè di una moglie; come padre, cioè dei figli; ma anche come allievo, cioè del suo maestro; come docente dei suoi possibili uditori; come scrittore, cioè dei possibili lettori, ecc.), ovvero è determinato in lui stesso del tutto attraverso altri corrispondenti e fissato formalmente come io di un tu, come individuo in prima “persona”, cioè di una possibile seconda persona e dunque come co-uomo (Mitmensch) – attraverso questo “ruolo” principale[2].
La citazione tratta da Schelling, con cui si apre l’Introduzione («Noi ci svegliamo attraverso la riflessione, ossia attraverso il ritorno forzato a noi stessi»), presenta subito il concetto fondamentale di Reflexion, sul quale si basa l’intera antropologia personalistica (relazionale) del giovane Löwith, dato che è proprio esso a permettere la coesistenza tra i due termini di individuo e persona (da intendersi etimologicamente come maschera, come personaggio) tanto che si può giungere alla “propria” unicità di individuo solo a partire da ciò che abbiamo “in comune” come persona, solo a partire cioè dall’«essere-l’uno-con-l’altro» (Miteinandersein). Il «mondo-del-con» (Mitwelt) si pone, anzi, come lo stesso mondo originario dell’uomo, a partire dal quale risultano esperibili sia il «mondo-ambiente» (Umwelt) sia la «natura» (Natur) e proprio da questo assunto nasce il proposito fondamentale di effettuare un’«analisi strutturale fenomenologica dell’essere-l’uno-con-l’altro» che viene svolta da Löwith, con estrema accuratezza ed acume filosofico, nei capitoli II (Analisi strutturale dell’essere-l’uno-con-l’altro) e III (L’uno e l’altro nella loro reciproca autonomia) dell’opera.
Il Mitwelt, inoltre, secondo Löwith, costituisce il grande tema rimosso della filosofia moderna, la cui ragione va rinvenuta nell’imporsi del paradigma antropologico soggettivistico, culminato nella stagione dell’idealismo tedesco e iniziato con il Rinascimento e la Riforma. Unico pensatore a distinguersi dalla temperie del soggettivismo moderno è stato Ludwig Feuerbach, che, nell’io idealistico, non ha esitato a individuare il profondo disconoscimento del fatto che insieme ad un “io” è sempre già dato anche un “tu”, in relazione al quale, soltanto, egli può porsi come “io”.
Di qui il tentativo löwithiano di superare quella che Heidegger avrebbe chiamato «metafisica della soggettività», seguendo il «doppio principio» del sensualismo (la sensazione è apertura all’altro) e dell’altruismo (l’altro modella il nostro modo di sentire) dei Principi per una filosofia dell’avvenire di Feuerbach, vero e proprio nume tutelare di quest’opera giovanile (Capitolo I, I principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach). Se tutto il secondo capitolo dell’opera löwithiana consiste in una intensa dimostrazione della derivazione dell’esperienza della mondità da quella della co-umanità (Parte I, Il Rapporto del mondo-del-con con il “mondo” e il “mondo ambiente”), a partire dall’idea della inevitabile mediazione interumana di ogni dimensione extraumana, dalla vita, alle opere, alla natura, e nella individuazione delle istanze fondamentali della convivenza originaria (Parte II, Le strutture immanenti del mondo-del-con, Sezione I, L’essere l’uno-con-l’altro come tale), identificate, innanzi tutto, nel rapporto, nell’incontro e nella corrispondenza, il progetto filosofico del co-uomo rischia di incappare in una nuova prospettiva trascendentale, non più di stampo soggettivistico, di cui la Freigabe («rilascio» dell’altro) del Dasein heideggeriano tutto chiuso in se stesso non sarebbe che l’ultima incarnazione, ma interamente impersonale, una prospettiva cioè capace di dissolvere ogni componente propriamente umana. È, insomma, il rischio dell’inautenticità del «rapporto assolutizzato», dovuta al completo annullamento dell’autonomia delle parti in causa nelle loro rispettive maschere, che riduce l’alterità dell’altro alla figura dell’“egli”.
Per cercare di risolvere tale questione, Löwith prende in analisi Così è (se vi pare) di Pirandello, opera in cui la nudità delle maschere è talmente esasperata da far emergere addirittura un fondo di vuotezza. In questo dramma, rappresentato per la prima volta a Milano nel 1917, Laudisi, il fratello della moglie del consigliere del prefetto, la signora Agazzi, riesce a smascherare con le sue riflessioni paradossali la pretesa di verità che la comunità borghese, attraverso le autorità locali, ricerca invano ai danni della famiglia di un impiegato, il signor Ponza. La suocera del signor Ponza, la signora Frola, afferma che sua figlia è la moglie del signor Ponza, il quale non le permette di vederla. Dal canto suo, il signor Ponza afferma che la figlia della signora Frola è morta e che la donna di cui ci si sta interessando è, in realtà, la sua seconda moglie. Sono in gioco due registri fondamentali: quello di identità che ci porta a chiedere chi sia veramente la moglie e quello di verità, che implica la domanda su chi sia veramente il pazzo, la signora Frola o il signor Ponza? Le autorità, per arrivare alla verità, mettono in atto una sorta di inchiesta ed allestiscono un tribunale per stabilire chi dei due menta, chi dei due sia il pazzo. Solo la testimonianza della moglie di Ponza potrebbe risolvere l’enigma: a questo punto entra in scena una figura velata, che dichiara di essere e la figlia della signora Frola e la seconda moglie del signor Ponza, affermando di non avere una identità definita, dal momento che la sua identità non esiste in se stessa, ma solo per coloro che gliela attribuiscono, perché «io sono colei che mi si crede» (Atto III, scena nona).
Löwith, come rimedio al rischio del completo annullamento dell’autonomia personale nelle sue maschere, di cui la signora Ponza, pur nella sua paradossalità, rappresenta l’esito più coerente, sostiene l’esistenza di un tratto «più-che-relazionale» presente in ogni essere umano, che va declinato sempre in funzione del Miteinandersein, da considerarsi, comunque, come la modalità d’essere fondamentale dell’esserci umano: è questo il «rapporto assoluto» che si contrappone al «rapporto assolutizzato». Il rapporto assoluto può esprimersi pienamente, poi, solo nella responsabilità dell’ascolto reciproco (Capitolo II, Parte II, Sezione II., L’essere-l’uno-con-l’altro come parlare l’uno-con-l’altro) e nella reciproca autonomia (non-autonomizzazione) da parte dell’io e del tu, autonomia che inaugura la dimensione propriamente etica dell’incontro delle parti in causa.
Prima dell’ultimo capitolo de L’individuo nel ruolo del co-uomo (Capitolo IV, “Io stesso” nella mia “unicità”), dove vengono prese in esame le figure concettuali dei due massimi oppositori della dimensione del Mitmensch del XIX secolo, Kierkegaard con il suo «Singolo» e Stirner con il suo «Unico», Löwith si avventura, sulla scia di Scheler, Gogarten e Dilthey (Capitolo III, L’uno e l’altro nella loro reciproca autonomia, Parte I, Esposizione critica delle attuali impostazioni del problema), in un importante confronto con l’etica dell’autonomia di Kant, verso la quale vede convergere la propria antropologia personalistica, tanto da difenderne gli assunti contro la critica che Hegel vi aveva mosso, eliminando la tensione tra «essere» e «dovere» a vantaggio esclusivo del primo (Capitolo III, Parte II, La fondazione dell’autonomia dell’uomo in Kant).
A partire da i due principi dell’«ambiguità ontologica della costituzione d’essere umana» e della «determinazione dell’ esserci ogni volta proprio, diverso da tutti gli altri, attraverso la sua unità con altri», Löwith sostiene la totale equivalenza tra la formula antropologica kantiana secondo cui l’uomo è «essere razionale di natura» (dove la razionalità trascende la naturalezza) e la sua idea dell’uomo come «essere in-naturale» (dove l’innaturalezza è dovuta alla relazionalità), ovvero tra il kantiano animale razionale e il suo animale personale/relazionale. È proprio la razionalità/relazionalità dell’essere umano, ovvero l’indipendenza dalla sua natura sensibile – questo il luogo in cui si realizza la presa di distanza dal sensualismo feuerbachiano – a rendere l’io e il tu autonomi come persone, ovvero a farsi considerare reciprocamente e rispettosamente come un fine in se stessi. In questo senso, l’innata potenzialità che ogni individuo costituisce – la X indefinita e pre-relazionale – può prendere forma solo a partire dall’incontro con l’altro, con la persona/personaggio che l’altro rappresenta e che personifica la nostra individualità, la quale, a sua volta, come esperienza in prima persona autonoma dalla propria natura animale, individualizza il ruolo stesso, evitando così la totale riduzione ad esso. È, insomma, l’equilibrio tra la razionalità-relazionale e l’ipseità della persona ad evitare di rendere quest’ultima mera mimesi di un ruolo spogliato da qualsivoglia individualità e libertà.
In conclusione, è bene tenere presente come Löwith, sin da questa opera giovanile, abbia colto l’importanza della rivalutazione dell’idea umanistica di animale razionale e relazionale (zoon logon echon/zoon politikon), tanto avversata da Heidegger in Essere e tempo, idea che assumerà una rilevanza ancora maggiore nella filosofia löwithiana a partire dagli anni ’30, per andarsi poi a saldare con la concezione cosmologica della maturità, ovvero con quella che possiamo chiamare l’antropologia cosmologicamente fondata, in cui il rapporto “io” e “altro” si estende al rapporto tra “noi” e quel “grande altro” che è la natura che ci ospita[3].
[1] K. Löwith, Das Individuum in der Rolle des Mitmenschen. Ein Beitrag zur anthropologischen Grundlegung der etischen Probleme (1928); tr. it. di A. Cera, L’individuo nel ruolo del co-uomo, Guida, Napoli 2007.
[2] Ivi, p. 266.
[3] Come lo stesso Löwith ricorda nella Prefazione alla seconda edizione de L’individuo nel ruolo del co-uomo: «Tanto è piacevole per l’autore vedere riedita dopo trentaquattro anni la sua prima pubblicazione – fu il suo scritto di abilitazione – quanto è imbarazzante, tuttavia, la ristampa di uno scritto i cui difetti gli sono divenuti nel frattempo evidenti. Dovesse egli riprendere in considerazione il tema oggi, non lo farebbe più isolando la struttura formale del rapporto “io” e “tu”, bensì nell’ambito di una più ampia connessione con la questione complessiva del rapporto tra uomo e mondo (Welt), all’interno del quale mondo-del-con (Mit-welt) e mondo-ambiente (Um-welt) sono soltanto mondi relativi. Per una corretta impostazione del problema e una riconduzione entro le sue giuste proporzioni della questione circa l’uomo come co-uomo, il lettore può far riferimento all’ultima delle Gesammelte Abhandlungen (1960) su Mondo e mondo umano».